Le Leggi Animaliste

La sensibilità diversa nei confronti del regno animale da parte della nostra società ha fatto emergere l’esigenza di “regolare” in modo adeguato, sia dal punto di vista etico-morale sia da quello legislativo, i processi produttivi che implicano l’uso degli animali nonché, più in generale, i rapporti tra umani e animali. Questa diversa  sensibilità si è tradotta nell’implementazione di varie norme, tra cui la legge 189 del 20 Luglio 2014 – “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate. Si tratta sicuramente di una legge innovativa, più che apprezzabile in alcuni dei suoi passaggi, ma nondimeno con grosse lacune e importanti implicazioni (sfavorevoli) che sono passate abbastanza inosservate e ci siamo proposti di analizzarle approfonditamente in questa sezione del sito.

Per effetto della Legge 189/04 la vigilanza sulla protezione degli animali è affidata anche alle guardie particolari giurate delle associazioni animaliste (Art. 6 comma 2), gli animali oggetto di provvedimenti di sequestro o di confisca sono affidati alle medesime associazioni animaliste (Art. 19-quater) e a queste associazioni sono destinate anche le entrate derivanti dall’applicazione delle sanzioni (Art. 8 comma 1).

Per finire, queste associazioni, ai sensi dell’articolo 91 del codice di Procedura Penale, possono pure costituirsi parte civile ai processi, al fine della richiesta di risarcimenti (Art. 7 comma 1): in altre parole, è garantita la possibilità per queste organizzazioni di chiedere (ed eventualmente ottenere) soldi, dato che saranno le associazioni animaliste a percepire gli eventuali indennizzi monetari stabiliti dai giudici.

Sulla base di questi presupposti, si può davvero escludere che non sussistano dei conflitti di interesse?

Da segnalare che all’epoca le associazioni animaliste condussero una campagna mediatica ben orchestrata: la LAV  raccoglieva firme per fermare il combattimento tra cani organizzati dai clan mafiosi, iniziativa senz’altro lodevole ma che purtroppo sembrava distogliere l’attenzione rispetto ai reali contenuti della legge.

 

L’operazione mediatica riuscì così bene che non vi fu quasi nessuna opposizione da parte del comparto produttivo, cosicché la tutela di chi lavora con gli animali è rimasta affidata solo a due labili “barriere”.

La prima è nella definizione del reato di uccisione e/o maltrattamento di animali, che sono tali solo se attuati attuati “senza necessità” e “con crudeltà” (requisito oggettivo che attesta l’intenzionalità dell’atto);

la seconda, a beneficio della ricerca e delle attività produttive, è prevista dall’Art. 19-ter., che impedisce di applicare queste norme ai casi previsti in materia di caccia, pesca, allevamento, trasporto, macellazione, sperimentazione scientifica, attività circense, giardini zoologici, manifestazioni storiche e culturali per i quali esistono apposite normative sul benessere animale.

La LAV (Lega Anti-Vivisezione) non era ancora soddisfatta da tale legge, visto che ha tentato in diversi modi di rimuovere quelle due “barriere”. Ha tentato di far escludere la previsione di una condotta intenzionale (crudeltà) nei reati di uccisione degli animali, chiedendo inoltre la modifica della legge in diversi punti tra i quali spicca l’abrogazione dell’Art. 19-Ter, facendo quindi supporre che il reale bersaglio possa essere più la realtà produttiva e la ricerca che non il maltrattamento animale in sé. Inoltre si chiede l’introduzione di un “contributo per la gestione degli animali sequestrati e confiscati” che alimenti il fondo di dotazione previsto dalla Legge 189/2004 e sia posto “in capo a tutte le attività economiche sugli animali”, nonché l’estensione  delle competenze per presunti reati in danno degli animali a tutti gli organi di polizia giudiziaria statali e locali anche ai fini dei sequestri rituali (piuttosto che solo alle persone formatisi appositamente, quali i veterinari pubblici).

Negli anni successivi le associazioni animaliste hanno spinto l’approvazione di nuove leggi che creassero per loro nuove possibilità, come quella sull’obbligo di soccorso degli animali vittime di incidenti stradali ( Art. 31. Modifiche agli articoli 177 e 189 del decreto legislativo n. 285 del 1992, in materia di mezzi di soccorso per animali e di incidenti con danni ad animali): questa disposizione è particolarmente critica, in quanto non differenzia le specie animali e le modalità. L’obbligo di soccorso, insomma, potrebbe scattare anche per l’investimento accidentale di un topo a notte fonda in una strada di campagna. Chi non presta soccorso a un animale ferito (non importa se sia direttamente responsabile o coinvolto ad altro titolo) sarà punito con un’ammenda, fermo restando che possono essere accertate anche responsabilità penali: il riferimento è l’articolo 544-ter del Codice penale, e ovviamente gli eventuali proventi sarebbero destinati alle associazioni animaliste.

Per di più, le associazioni protezionistiche sono state riconosciute per la formazione delle Forze di polizia nell’ambito del soccorso stradale, e le stesse associazioni controllano il maggior numero di ambulanze veterinarie; inoltre esistono leggi che garantiscono loro il mantenimento degli animali sequestrati e affidatigli a carico di chi aveva subito il sequestro, prima ancora di una sentenza di condanna. La già citata Onlus LAV è persino riuscita ad ottenere una modifica del codice civile (art. 1138): ogni regolamento condominiale che vieta il possesso di animali è diventato illegittimo.

 

 

Partecipa alla discussione: