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Il paradosso del Darwinismo antispecista e la fallacia naturalistica

DARWINISMO SI, MA QUANDO FA COMODO

Nel 1859, con la pubblicazione de “L’Origine delle Specie”, Darwin aveva messo in crisi il primato dell’uomo nel mondo affermando che tutti gli animali siano legati tra di loro da gradi di “parentela evolutiva” più o meno stretti.  Un argomentazione ricorrente antispecista è che in virtù della parentela filogenetica,  e quindi del fatto che non esistano categorie ontologiche nette (cioè che riguardano l’essere), la vita umana non avrebbe nulla di speciale rispetto a quella degli animali e che quindi gli uomini non dovrebbero utilizzare gli animali per nessuno scopo. 
Il primo a utilizzare le teorie di Darwin nella dottrina antispecista è stato James Rachels, filosofo antispecista statunitense in “Le implicazioni morali del Darwinismo”.

Il fatto che non esistano categorie ontologiche nette e che la vita umana non avrebbe nulla di speciale rispetto a quella degli animali, non è tuttavia né condizione necessaria, né sufficiente per seguire la dottrina antispecista e quindi modificare radicalmente atteggiamento nei confronti degli altri animali ma anche nei confronti degli altri esseri viventi: tutte le forme di vita, non solo quelle appartenente al Regno Animalia, sono legate da relazioni di discendenza comune attraverso ramificati alberi filogenetici che riconducono a un unico progenitore, estremamente semplice dal punto di vista biologico, molto probabilmente una cellula simile ai moderni Procarioti.
Se gli altri organismi viventi hanno diritto alla vita in quando uniti in gradi di parentela filogenetica più o meno vicini a noi, come potremmo sopravvivere?


Come i nostri parenti più stretti del Regno Animalia, siamo organismi eterotrofi (etero- deriva dalla parola greca che significa «altro» trophé significa «nutrirsi»): ciò significa che non riusciamo a produrre molecole organiche da noi, ma dobbiamo prenderle da altri esseri viventi: siamo vita che si nutre di vita, usiamo altre forme di vita per vivere, a prescindere dal fatto che siamo tutti in un certo senso “cugini”.
Poi esistono anche gli organismi autotrofi, che sono quelli che producono sostanze da sé: le Piante e alcuni batteri. Sicuramente nell’antispecismo propriamente detto, gli organismi che rappresentano la perfezione dal punto di vista etico-morale sono proprio questi organismi che non usano gli altri esseri viventi per sopravvivere, ma non tutti, per esempio vengono escluse per ovvie ragioni le piante carnivore.
Inoltre, l’uomo, unico essere vivente che ha avuto la capacità di teorizzare e tentare di seguire la dottrina antispecista, sarebbe l’unico organismo eterotrofo esistente che ambisce moralmente all’autotrofismo.

La teoria di Darwin non è stata utilizzata solo per giustificare l’antispecismo ma anche  il contrario.  Il “Darwinismo sociale“, invece che concentrarsi sui rapporti filogenetici che intercorrono tra le specie, si concentra sulla teoria della selezione naturale e lotta per la sopravvivenza e (secondo l’accezione moderna) promuove le teorie sulle razze, l’eugenetica, ritiene moralmente accettabile la sopraffazione del più debole, la vittoria del più forte, la “purificazione” della specie umana, può persino giustificare l’estinzione della specie ad opera dell’uomo perchè “non adatte”. Spencer ha cercato di applicarlo
anche alla realtà sociale e politica dell’uomo, arrivando a sostenere che “lo Stato non deve assolutamente intervenire con criteri di solidarietà o di agevolazioni, perché altrimenti impedisce che maturino le forme di selezione naturale indispensabili alla sopravvivenza della società stessa.”

Questo per spiegare che la teoria evoluzionista può essere adoperata in campo filosofico per giustificare tutto e il contrario di tutto e secondo il parere del sottoscritto è solo uno stratagemma per dare autorevolezza scientifica a scuole di pensiero differenti.

Esiste tuttavia un errore intrinseco nella teoria darwiniana applicata in ambito filosofico, spiegata dalla legge di Hume: si tratta della fallacia naturalistica.

FALLACIA NATURALISTICA SINONIMO DI DISEGNO INTELLIGENTE

La fallacia naturalistica è un vizio di ragionamento logico che consiste il trarre “il dover essere” dall'”essere”. Per fare degli esempi, nel caso del darwinismo antispecista: se l’uomo È cugino delle altre specie viventi DEVE comportarsi in una certa maniera nei loro confronti. Nel caso del Darwinismo sociale, se una persona/organismo È svantaggiata DEVE perire.
Nel 1739, nel “Trattato sulla Natura umana”, il filosofo scozzese, David Hume fece notare che molti autori parlavano spesso di cosa dovrebbe essere al posto di cosa è e che esisteva un salto logico nel derivare norme (cosa dovrebbe essere) da descrizioni (cosa è).
La legge di Hume sostiene sostanzialmente l’impossibilità di derivare prescrizioni da descrizioni.

L’argomentazione base delle storpiature filosofiche del darwinismo paradossalmente non differisce dalla teoria del disegno intelligente, in contrasto con l’evoluzionismo darwiniano stesso e dice che un organismo vivente è fatto in un certo modo per assolvere a determinate funzioni. Che se è così allora deve fare così.

La “teoria del disegno intelligente” era stata utilizzata dai detrattori di Darwin per descrivere la complessità dell’organismo come “progetto” piuttosto che come sommatoria di casualità che ha reso l’organismo capace di fare qualcosa. Avevano sostituito quindi la capacità e la possibilità con la finalità perché non avevano capito l’armonia casuale delle parti che compongono l’organismo. Non è sicuramente una cosa immediata che si può cogliere tramite il famoso “buonsenso”.

E la fallacia naturalistica è stata usata in vari modi nell’ambito delle dottrine animaliste, per esempio per convincere la gente al veganesimo.

LA FALLACIA NATURALISTICA DELL’UOMO VEGETARIANO

Qui un argomentazione ricorrente: la comparazione fisiologica tra animali.

Spesso si incappa nella vizio del ragionamento del derivare norme da fatti: se ha i canini deve essere carnivoro, se ha le unghie piatte deve essere erbivoro, se è bunodonte deve essere erbivoro, quando si parte da alcune caratteristiche anatomiche per cercare di descrivere l’orientamento alimentare di un animale o dell’uomo, tipo quando si sostiene che l’alimentazione per il cane debba essere di carne cruda (dieta BARF) o che l’uomo debba seguire una dieta  vegetariana/fruttariana, argomentazione per altro utilizzata anche per sostenere la paleodieta (alimentazione a base di carne cruda) perchè l’uomo era raccoglitore-cacciatore.
Della famiglia degli Ursidae è curioso il fatto che troviamo il nostro orso bruno onnivoro, l’orso polare carnivoro e il panda erbivoro: le caratteristiche anatomiche di un animale sono semplicemente indicative della categoria tassonomica e antenato comune, poi ogni organismo si è adattato come ha potuto nei suoi limiti all’ambiente.  L’evoluzione, infatti, lavora adeguando come può ciò che l’organismo vivente ha già a disposizione, a seconda della necessità. Non esistono “animali progettati per”.
L’approccio nutrizionale migliore dovrebbe essere stabilito sulla base delle evidenze scientifiche e non speculazioni filosofiche sulla natura del soggetto, tenendo conto della regola aurea “in primis non nuocere”.

LA FALLACIA NATURALISTICA E IL MECCANICISMO DEL “NATURALE” 

Esiste una tara linguistica che fa si che il frutto dell’adattamento sia descritto non come “transizione della funzionalità delle componenti nell’organismo” che rendono un organismo atto o specializzato a svolgere determinati compiti ma come l’ organismo è “fatto per” svolgere (unicamente) alcuni compiti, laddove quei “compiti” sono per lo più quelli che svolge per lo più la specie o la varietà in determinate condizioni, e in base a questo definiamo normale (e quindi morale) ciò a cui siamo abituati o che riteniamo più “naturali”. Per questo gli animalisti possono dire che non è naturale che l’uomo mangi carne, che l’uomo cacci, che ci siano animali allevati o che esistano zoo e circhi e che quindi è sbagliato.
E di nuovo, la fallacia naturalistica: “essere fatto per”, prescrizioni da descrizioni.
Fermiamo a ragionarci un attimo nei concetti:  “fatto” da chi? “per” perchè? A che scopo?
Per chi ha studiato evoluzionismo e non crede nel creazionismo queste domande sono senza risposta perchè è tutto frutto del caso.
E qui in particolare ci accorgiamo che la teleologia insita nel “essere fatti per” non ha molto senso.
L’organismo, piuttosto, ha la “capacità di svolgere quei compiti” come moti altri. Ciò che detta la capacità di adattamento non è solo la genetica, che è solo la base, ma fenotipica a cui può essere ascritta la capacità di apprendimento e la capacità di previsione delle azioni. D’altronde non c’è scritto nel nostro DNA come usare la bicicletta, non c’è scritto nel DNA del leone come cacciare, sono cose che apprendiamo. Esiste anche un’ulteriore variante del disegno intelligente: il “non essere fatto per”. Nonostante Cartesio venga descritto come “padre dello specismo” dai filosofi antispecisti, che ci avrebbe convinti che gli animali siano robot incapaci di sensazioni, in quanto non dotati della “res cogitans”, l'”essere fatto per” e il “non essere fatto per”, la demonizzazione dell’apprendimento (tramite l’allenamento)  non è altro che riduzione degli animali a meri automi, una sorta di meccanicismo antispecista che riduce l’animale a mero istinto e incapacità di adattamento.
Quindi il cane non dovrebbe imparare a dare la zampa, il falco non dovrebbe imparare a tornare dal padrone, il cavallo non dovrebbe essere domato, il leone non dovrebbe saltare su uno sgabello.
Eppure, all’evidenza dei fatti, l’organismo ha la capacità che lo rende atto a svolgere un compito ma lui “non è fatto” per svolgere quel compito, ma, come detto sopra “non è neanche fatto” per svolgere il compito a cui noi siamo abituati a vedere svolgere.
E l’animale non è fatto per l’uomo. L’animale non è neanche fatto per non stare con l’uomo.. L’animale è/ L’uomo è/ Il rapporto uomo:animale è …
un bellissimo e affascinante frutto della casualità che è stato vantaggioso e vincente, caratteristiche che gli hanno permesso di esistere.

 

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